Consiglio di lettura: La città dei bambini – Francesco Tonucci
Francesco Tonucci è un ricercatore associato dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Consiglio Nazionale delle Ricerche italiano. Ha dedicato la sua attività di ricerca ai temi dell’educazione, specialmente infantile e alla formazione dei docenti. Da più di venti anni è responsabile del progetto internazionale “La città delle bambine e dei bambini”, che ha creato una rete di più di 200 città in Italia, Spagna, Sudamerica e ora in Libano e Turchia.
Professore honoris causa della Pontificia Unicìversità di Lima (Perù). Dottore honoris causa della facoltà di Architettura dell’Università Nazionale di La Plata (Argentina).
Dal 1968, con lo pseudonimo di Frato, pubblica vignette satiriche sui temi dell’educazione.
Scegliere i piedi invece delle automobili significa scegliere tutti invece che alcuni perché tutti siamo pedoni e solo pedoni lo siamo tutti. Poi alcuni usano mezzi privati, altri mezzi pubblici, altri la bicicletta, ma tutti in qualche momento sono pedoni.
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Anche scegliere il gioco e non solo il lavoro è una scelta coraggiosa e democratica, ma forse più complessa e profonda.
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Una volta avevamo paura del bosco. Era il bosco del lupo, dell’orco, del buio. Era il luogo dove ci si poteva perdere. Quando i nonni ci raccontavano le fiabe, il bosco era luogo preferito per nascondere nemici, trappole, ansie. Da quando il personaggio entrava nel bosco noi cominciavamo ad avere paura, sapevamo che poteva succedere qualcosa, che sarebbe successo qualcosa. Il racconto si faceva più lento, la voce più grave, ci si stringeva gli uni con gli altri e si aspettava il peggio. Il bosco metteva paura, con le sue ombre, i suoi rumori sinistri, il canto lugubre del cuculo, i rami che ti acchiappavano all’improvviso. Ci si sentiva invece sicuri fra le case, in città, nel vicinato. Era questo il luogo dove ci si cercava fra compagni, ci si trovava per giocare insieme. Erano lì i nostri posti, quelli per nascondersi, quelli per organizzare la banda, per giocare a mamma, per sotterrare il tesoro. Erano i posti dove si costruivano i giocattoli, secondo modalità e abilità rubate agli adulti e approfittando delle risorse che l’ambiente offriva. Era il nostro mondo. Nel giro di pochi decenni è cambiato tutto. C’è stata una trasformazione tremenda, rapida, totale, come mai ne aveva visto la nostra società, almeno a memoria di storia documentata. Da una parte la città ha perso le sue caratteristiche, è diventata pericolosa e infida; dall’altra sono sorti i verdi, gli ambientalisti, gli animalisti a predicare il verde, il bosco. Il bosco è diventato bello, luminoso, oggetto di sogni e di desiderio; la città è diventata brutta, grigia, aggressiva, pericolosa, mostruosa.
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Gli amministratori della città responsabili di una perversa trasformazione delle caratteristiche della vita urbana, debbono in qualche modo recuperare il consenso dei loro cittadini e prima di tutto dei loro elettori, pena la perdita del loro potere. In alcuni casi gli amministratori si sono fatti carico del malessere dei concittadini e hanno sviluppato, a compensazione dei disagi e a garanzia del consenso, la politica dei servizi. I servizi pubblici sono diventati il simbolo e il vanto della buona amministrazione: “Sei costretto a vivere lontano dal centro urbano, lontano dagli uffici, dai luoghi di divertimento di cultura? Non ti preoccupare, ti metto a disposizione mezzi di trasporto pubblico sempre più rapidi, sempre più efficienti.”; “Non sai come fare con i tuoi bambini, non hai la possibilità e tempo per poter educare? Non ti preoccupare, ti apro nidi d’infanzia, centri di incontro, ludoteche…”; “Non sai come assistere i tuoi vecchi, nel tuo piccolo appartamentino, al dodicesimo piano, con i tuoi orari di lavoro? Non ti preoccupare, ti offro centri anziani, viaggi, vacanze e ospizi per i vecchi.”
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Ai bambini e ai vecchi non si permette o si rende difficile vivere nella propria famiglia, nella propria casa, nella propria città, ma si offre loro il meglio che possono assicurare la moderna di psicologia, pedagogia, pediatria, dietetica, geriatria. Meglio di come potrebbe fare la famiglia. L’importante è che il cittadino che vota sia soddisfatto e lo sia nel tempo breve del mandato elettorale. I tempi dei politici sono brevi, devono superare gli esami ogni 4 anni: i progetti a lunga scadenza non pagano, non portano voti.
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La città è diventata ostile per i suoi stessi cittadini, priva di solidarietà e di accoglienza. Padrone della città è ormai l’automobile che produce pericolo, inquinamento acustico e dell’aria, vibrazioni, occupazione del suolo pubblico. Le strade sono pericolose, ma in questa città dobbiamo vivere e, specialmente chi ha figli, sente la necessità e l’urgenza di trovare una soluzione.
Finora e con una forte accentuazione degli ultimi decenni, la città è stata pensata, progettata e valutata assumendo come parametro un cittadino medio con le caratteristiche di un adulto, maschio lavoratore, e che corrisponde all’elettore forte. In questo modo la città si è persa i cittadini non adulti, non maschi e non lavoratori, cittadini di seconda categoria, con meno o senza diritti.
Ecco la proposta: sostituire il cittadino medio, adulto, maschio e lavoratore con il bambino.
Perché assumere il bambino come parametro? La scelta non vuole essere né provocatoria né paradossale, ha precise motivazioni psicologiche sociologiche, importanti precedenti storici, un alto significato morale, e anche un forte peso politico.
Non è vero che il bambino non sa nulla, che è una lavagna pulita su cui tutto deve essere scritto e che saranno della scuola la responsabilità e il merito dei primi e fondamentali apprendimenti. È vero invece il contrario. Nella descrizione che dello sviluppo fa la ricerca scientifica è proprio nei primi giorni, nei primi mesi e nei primi anni che lo sviluppo è più rapido, è lì, subito alla nascita che avviene l’esplosione, non intorno ai 6 anni con l’inizio della cosiddetta età della ragione. Prima che un bambino entri per la prima volta in un’aula scolastica, le cose più importanti sono già successe: gli apprendimenti più importanti, quelli sui quali tutta la conoscenza successiva dovrà costruirsi o sono già acquisiti o difficilmente potranno essere recuperati.
Ma come si può spiegare un fenomeno così sconcertante? Nei primi anni di vita non ci sono insegnanti, non si usano materiali didattici e non si fanno programmi, e allora cosa possiamo attribuire il merito di una crescita così importante? Mi pare che non abbiamo alternativa dal doverlo attribuire alla più significativa attività di questi primi anni: il gioco.
La città dei bambini – http://www.lacittadeibambini.org/interna.htm
Claudia Protti & Raffaella Bedetti – © Parchi per Tutti