Consiglio di lettura: Lasciateli giocare – Peter Gray
I bambini vengono al mondo ansiosi di imparare e geneticamente programmati per farlo grazie alle loro straordinarie capacità. Sono piccole macchine da apprendimento. Nel giro dei primo quattro anni di vita circa, assorbono e sviluppano un’incredibile quantità di informazioni e abilità senza bisogno di istruzioni. Imparano a camminare, correre, saltare e arrampicarsi. Imparano a comprendere e parlare la lingua della cultura in cui sono nati, e grazie a questa lingua, imparano a esprimere la propria volontà, a discutere, divertire, infastidire, fare amicizia e porre domande.
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Eppure credo che anche Fulghum, pungolandolo un po’, sarebbe probabilmente stato d’accordo con l’idea che le lezioni più importanti, nella vita di chiunque, non sono quelle che si ascoltano all’asilo o in qualsiasi altro tipo e livello di scuola. Sono quelle che ci impartisce la vita.
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I bambini sono fatti per giocare ed esplorare per conto loro, in autonomia dagli adulti. Per crescere hanno bisogno di libertà; senza soffrono. L’impulso a giocare liberamente è fondamentale, biologico. Soffocarlo non ucciderà il corpo fisico come succederebbe senza cibo, aria o acqua, ma uccide lo spirito e arresta lo sviluppo mentale. Se giocano liberamente i bambini imparano a fare amicizia, a superare le paure, a risolvere i problemi e, in generale, ad assumere il controllo della propria vita. Ed è innanzitutto giocando che i bambini esercitano e acquisiscono le abilità fisiche e intellettuali indispensabili ad affermarsi nella cultura in cui crescono. Niente di quello che facciamo noi, per quanti giocattoli compriamo, per quanto “tempo di qualità” dedichiamo o per quante opportunità formative speciali offriamo ai nostri bambini, può controbilanciare la libertà di cui li priviamo. Le cose che imparano di loro iniziativa, giocando liberamente, non si possono insegnare in nessun altro modo.
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In un autorevole libro sulla storia del gioco infantile in America, Howard Chudacoff definisce la prima metà del Novecento “l’età dell’oro del gioco infantile non strutturato”. Per “gioco non strutturato” Chudacoff non intende il gioco privo di struttura. Il gioco, riconosce, non è mai un’attività casuale; ha sempre una sua struttura. Per “non strutturato” intende, in realtà, strutturato dai giocatori invece che da un’autorità esterna. Io lo chiamo gioco libero – sono i giocatori che decidono a cosa e come giocare, liberi di modificare man mano scopi e regole.
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L’accresciuto peso della scolarizzazione e la necessità percepita di costruire ricchi curriculum non sono gli unici motivi che hanno portato al declino del gioco libero negli ultimi cinquant’anni. Altrettanto peso ha avuto la convinzione, sempre più radicata negli adulti, che giocare senza la loro supervisione sia pericoloso. Oggi se un bambino che sta giocando viene rapito, molestato sessualmente o ucciso da un estraneo in un luogo qualsiasi del mondo sviluppato, i media sgomitano per coprire la notizia, con la conseguenza che la paura si gonfia fino a diventare esagerata, irragionevole.
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Se vogliamo offrire ai bambini l’opportunità di giocare all’aria aperta, dobbiamo migliorare i quartieri in modo che i genitori li percepiscano come luoghi sicuri. In che razza di società viviamo, se i nostri figli non possono giocare all’aperto sicuri e liberi?
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Quando giocano all’aperto, somministrano a sé stessi piccole dosi di paura – dondolano, scivolano, roteano sulle attrezzature di un parco giochi, si arrampicano su ponti e alberi, scendono dai corrimano in skateboard -, imparando così a controllare non solo il proprio corpo, ma anche i propri timori. Nei giochi collettivi imparano a trattare con gli altri, ad accontentarli e a gestire e superare l’irritazione che può derivare da un eventuale conflitto. Il gioco libero è inoltre il mezzo grazie al quale la natura aiuta i bambini a scoprire i loro gusti. Giocando, sperimentano svariate attività e capiscono per cosa hanno talento e cosa preferiscono. Le parole non sono in grado di impartire nessuna di queste lezioni; solo l’esperienza può farlo, e l’esperienza si acquisisce col gioco libero e con le emozioni che scatena: fondamentalmente, interesse e gioia.
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Un gioco sociale (ovvero, un qualunque gioco preveda più di un giocatore) è, per sua natura, un continuo esercizio di collaborazione, attenzione alle esigenze reciproche e decisioni consensuali. Il gioco non è dovere; i giocatori sono liberi di smettere in ogni momento.
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La ricerca ha dimostrato più volte che, nella nostra cultura, anche i bambini in età prescolare affrontano una gran quantità di trattative e compromessi nel contesto ludico. Uno dei grandi scopi evolutivi del gioco sociale è aiutare i bambini a imparare a rispettarsi, da pari a pari, così che esigenze e desideri di tutti vengano soddisfatti nonostante le differenze di stazza, forza e capacità.
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L’autoformazione attraverso il gioco e l’esplorazione richiede enormi quantità di tempo non programmato – tempo per fare quel che pare e piace, senza pressioni, giudizi o intrusioni da parte dei una qualche autorità. Questo tempo serve per fare amicizia, giocare in idee e cose, annoiarsi e vincere la noia, imparare dai propri errori e sviluppare passioni.
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Oggi pensare all’educazione significa per lo più pensare alla scuola. In altre parole, pensiamo alla formazione come a qualcosa che viene impartito ai bambini dagli adulti. Ma la formazione è nata molto prima della scuola, e anche oggi avviene in gran parte al di fuori di essa. Dire che siamo animali educabili significa dire che abbiamo, dentro di noi, l’istinto di acquisire e fare affidamento sulla cultura cui apparteniamo. Oggi a parere di moltissimi il compito di educare spetta agli adulti, i quali hanno la responsabilità di passare ai bambini certi aspetti della cultura, che i bambini ci tengano o no. Ma nel corso della storia umana, il vero onere della formazione è sempre spettato ai bambini stessi, ed è così ancora oggi. Come vengono al mondo con l’istinto di mangiare e bere per sopravvivere, così vengono al mondo con l’istinto di autoformarsi, di imparare quel che è necessario per diventare membri capaci della loro cultura e dunque sopravvivere. Questo istinto, in senso lato, si esprime nella curiosità, nella giocosità e nella socievolezza.
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Noi siamo una specie intensamente sociale, in cui la collaborazione è indispensabile alla sopravvivenza, e così abbiamo svariate forme di gioco sociale, ce ci insegna a collaborare, a trattenere gli impulsi e a essere dunque socialmente accettabili. Quando i bambini si dedicano in gruppo a qualche gioco di fantasia, non si limitano ad allenare l’immaginazione. Recitano ruoli, esercitando così la propria capacità di comportarsi secondo le coordinate stabilite insieme. Praticano anche l’arte della trattativa: quando decidono i ruoli, chi può usare questo o quell’oggetto di scena e quali scene interpreteranno, tutti i giocatori devono arrivare a un accordo valido per tutti. Trovare un accordo e andare d’accordo con gli altri sono di sicuro tra le abilità umane più preziose per la sopravvivenza, e i bambini le esercitano di continuo nel gioco sociale.
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Il gioco è un concetto contraddittorio. Il gioco è serio ma non serioso; futile ma profondo; fantasioso e spontaneo, ma legato a regole a ancorato al mondo reale. È puerile, ma è fondamento dei più grandi risultati che si conseguono da adulti. Da una prospettiva evoluzionista, il gioco è il modo in cui la natura si assicura che i cuccioli d’uomo e di altri mammiferi imparino quanto è necessario per sopravvivere e cavarsela bene. Da una prospettiva diversa, il gioco è il dono divino che rende la vita sulla Terra degna di essere vissuta.
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Il gioco è, innanzitutto e soprattutto, un’espressione di libertà. È ciò che si vuole fare in opposizione a ciò che si deve fare. Questo è forse l’ingrediente davvero fondamentale di ciò che il senso comune interpreta generalmente come gioco.
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Il gioco è un’attività liberamente scelta ma non priva di forma. Ha sempre una struttura che deriva dalle regole pensate dal giocatore. … Giocare significa comportarsi secondo le regole che ci si è scelti. Sono regole diverse da quelle della fisica o degli istinti biologi che seguiamo automaticamente. … Ad esempio quando si fa la lotta una regola onnipresente è che si limitano certe mosse della lotta vera ma non si fa male sul serio all’avversario. Non si picchia con tutta la propria forza, non si danno calci e morsi, non si graffia. Fare la lotta è molto più controllato di una lotta autentica; è un costante esercizio di autolimitazione.
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Si pensa che il gioco sia frivolo e futile, ed è vero. Come ho spiegato si tratta di un’attività fine a se stessa, che non vuole raggiungere obiettivi seri nel mondo reale… Si tratta di un’attività che si svolge almeno in parte in un mondo di fantasia. Accidenti se è futile! Ma sta proprio qui il più bello dei paradossi ludici: l’enorme potere pedagogico del gioco consiste nella sua futilità.
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Per essere un buon giocatore negli sport informali non bisogna seguire ciecamente le regole. Bisogna piuttosto mettersi dal punto di vista degli altri, comprendere cosa vogliono e adoperarsi perché lo ottengano, almeno in parte. Se non ci si riesce, si rimane da soli. Nel gioco informale badare alla felicità dei compagni è molto più importante che vincere, il che vale anche nella vita. Per certi bambini questa è una lezione difficile da imparare, ma l’impulso a giocare con gli altri è talmente forte che i più alla fine la apprendono, sempre che si diano loro molteplici opportunità di giocare – molteplici opportunità di fallire, patirne le conseguenze e poi riprovarci.
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Che cosa prepara meglio alla vita vera, il gioco informale o formale? La risposta mi sembra chiara. La vita vera è un gioco informale. Le regole sono modificabili ad libitum e ciascuno deve fare la sua parte per stilarle. … Andare d’accordo con gli altri è molto più importante che sconfiggerli. A contare nella vita è come si gioca, quanto ci si diverte durante la partita e quanta gioia si dà agli altri. Queste sono le lezioni del gioco sociale informale, e sono molto, molto più importanti che imparare da un’allenatore a lanciare una palla curva o a scivolare in seconda base.
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Facendo quel che vogliono fare, cioè giocare insieme ad altri, i bambini imparano a trovare compromessi e a non fare esattamente quel che vogliono fare. … Grande autocontrollo, grande capacità di scendere a compromessi, e senza l’intervento di un adulto.
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Svariati esperimenti a breve termine condotti negli asili hanno dimostrato che, se si danno ad alcuni bambini più opportunità di partecipare a un gioco sociodrammatico e ad altri meno, quelli del primo gruppo se la cavano poi meglio di quelli del secondo quando si tratta di mettersi nei panni altrui o di andare d’accordo.
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Come ho scritto nel primo capitolo, il calo del gioco libero infantile fin dal 1955 circa è stato accompagnato da un continuo aumento di ansia, depressione e senso di impotenza nei giovani. Altri effetti correlati sono la crescita del narcisismo e il declino dell’empatia.
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Il gioco è il sistema cui la natura ricorre per insegnare ai bambini a risolvere i problemi, controllare gli impulsi, modulare le emozioni, mettersi nei panni degli altri, negoziare le differenze, andare d’accordo e sentirsi alla pari con chi hanno intorno. Il gioco non ha “supplenti” che possano insegnare queste capacità al posto suo.
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La strada per portare i nostri figli all’aria aperta non è buttare alle ortiche il computer o il televisore, non più di quanto lo sia buttare i libri che abbiamo in casa. Sono tutte grandi fonti di apprendimento e divertimento, Piuttosto, la strada è assicurarsi che i nostri figli abbiano opportunità autentiche di giocare liberamente all’aria aperta, con gli altri bambini, senza interferenze adulte. I bambini del mondo contemporaneo hanno bisogno di saper usare molto bene l’elettronica, proprio come i bambini dei cacciatori-raccoglitori avevano bisogno di saper usare molto bene archi, frecce e bastoni di scavo. A tal fine, devono avere la libertà e l’opportunità di giocare con il computer, fondamentale “utensile” moderno. Per uno sviluppo sano però, devono avere anche la libertà e l’opportunità di giocare fuori, lontano da casa, con gli altri bambini. Le parole chiave sono libertà e opportunità, non coercizione.