I miei bisogni non sono speciali: cambiare il linguaggio per cambiare la cultura
Un interessante articolo (marzo 2017) di Martina Fuga sull’utilizzo di termini corretti e sbagliati.
Le parole sono importanti, sono l’alfabeto della nostra cultura. È da qui che bisogna partire: auto-educarci e educare a un linguaggio nuovo per scardinare pregiudizi, cambiare la cultura e di conseguenza la realtà che ci circonda.
Non si tratta solo delle parole bandite come “mongoloide”, piuttosto che della battaglia all’espressione “affetto da” o al termine “malattia”, combattuta ormai da anni. È il momento di finirla anche con termini edulcoranti, ipocritamente politically correct come “diversamente abile” e “special needs”. Ne capisco le buone intenzioni, ma se non vogliamo scomodare l’ipocrisia in cui spesso inciampa il politically correct, almeno riconosciamo che usare questi termini nasconde spesso delle insidie.
Nella mia esperienza di mamma ho usato questo termine “bambina speciale” con mia figlia Emma dal primo giorno, forse avevo bisogno di abituarmi all’idea di avere una figlia con la sindrome di Down, una figlia diversa, e ho creduto di addolcire la pillola e di proteggerla.
In questi 12 anni sono cambiate molte cose, tra queste è cambiato anche il mio vocabolario. Non uso più la parola “normale”, ma uso “tipico”, non uso più la parola “speciale”, ma uso “disabile”, non uso la parola “dono” e non considero mia figlia una super eroina, io non sono una “mamma speciale”, mia figlia è una ragazza con la sindrome di Down che vive la sua vita con dignità e con lo stesso desiderio di essere inclusa di chiunque altro.
Dal chiamarli #bambinispeciali ad accettarli diversi e meravigliosamente unici c’è tanta strada, ma vale la pena farla! Offrire un trattamento speciale e concedere un privilegio garantisce il risultato opposto all’inclusione. Includere non significa costruire un mondo a parte a misura di chi è diverso, ma che ognuno ha il diritto di esprimere la propria individualità nella sua classe, nella sua comunità, nel suo paese, nel mondo, e le sue caratteristiche e la sua persona sono accettate e rispettate.
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Claudia Protti & Raffaella Bedetti – © Parchi per Tutti